Beccalossi intervista Borchia

Intervista esclusiva

 

Patate bollenti dell’attualità internazionale

L’opinione di Paolo Borchia, europarlamentare della Lega  

Verona – Più di casa a Bruxelles (ha iniziato la sua carriera al Parlamento europeo ancora nel 2010, quale assistente accreditato del conterraneo europarlamentare della Lega Lorenzo Fontana) che a Verona, Paolo Borchia (Negrar di Valpolicella, 27 maggio 1980), a sua volta parlamentare europeo dal 2019 e riconfermato nel 2024 (in quanto primo dei non eletti ed in seguito alla rinuncia di Roberto Vannacci che aveva optato per la circoscrizione nord-occidentale), è oggi capo delegazione (Gruppo patrioti per l’Europa) nonché segretario provinciale della Lega.

Borchia si presta volentieri ad un’intervista su temi caldi dell’attualità internazionale, presso la sede in via Evangelista Torricelli 41c.

D – Un suo commento riguardo all’odierna Unione europea a trazione Ursula von der Leyen bis.

«Allo stato attuale non possiamo dire d’essere contenti di come stanno procedendo le cose. Perché doveva essere una legislatura in grado di dimostrare che quanto successo nei precedenti cinque anni era stato un episodio sfortunato della storia. Se, oggettivamente, la prima Commissione von der Leyen era stata caratterizzata dalla pandemia che ne aveva condizionato pesantemente l’attività, ora diciamo chiaramente che abbiamo cominciato o, meglio, hanno cominciato col piede sbagliato. Nel senso che si doveva vedere un cambio di passo importante sul tema del green deal, cambio di passo che non abbiamo visto. Prendiamo atto che s’è scelto di sacrificare la competitività alla decarbonizzazione, quando nella quotidianità le aziende, gli amministratori, le persone ci chiedono cose diverse legate all’economia reale. Non soltanto la pur legittima battaglia per inquinare di meno».

«Poi, l’approccio alle questioni internazionali, approccio bellicista così accentuato, sicuramente non ci piace perché sdogana il concetto che si può derogare dal dogma, dai sacri vincoli del patto di stabilità soltanto per le spese connesse agli armamenti. Mentre noi, quotidianamente, ci confrontiamo con un Paese che ci chiede aumenti delle pensioni e degli stipendi per contrastare il rialzo dei prezzi che, purtroppo, vede gli italiani fanalini di coda per quanto riguarda il potere d’acquisto. Perciò, un’Europa che va in direzione delle armi e non un’Europa che va in direzione della vita concreta sicuramente non è quella che sognavamo da ragazzini».

D – Questa corsa al riarmo può essere un ostacolo ai tentativi d’arrivare ad una sorta di cessate il fuoco o tregua con le trattative in corso tra gli Stati Uniti e la Russia sul conflitto russo-ucraino?

«O si parla con la lingua della diplomazia o si parla con la lingua delle armi, perché l’escalation che va in quest’ultima direzione magari accontenta l’industria bellica franco-tedesca, però non va incontro a quelle che sono le esigenze della diplomazia. Anche perché quello che è l’andamento delle operazioni belliche, mi sembra chiaro, suscita il timore che più si protrae il conflitto più la Russia (che è, tra le parti in campo, l’aggressore e non l’aggredito) potrebbe accampare delle richieste maggiori e più gravose rispetto a quanto avanzato adesso».

D – Di recente hanno parlato dell’attacco russo a Sumy, in Ucraina. Le versioni ufficiali sono diverse da quelle ufficiose. Erano in corso dei festeggiamenti di militari a cui si erano aggregati dei civili. Il sindaco stesso della cittadina s’era opposto a questa manifestazione per il rischio che diventasse un polo catalizzatore di un’eventuale offensiva dei russi. Subito Zelens’kyj (presidente ucraino con mandato scaduto) ha dato del bastardo a Putin ritenendolo responsabile dell’azione. Secondo lei, il “servitore del popolo”(dal nome del partito politico fondato nel 2017 da Zelens’kyj stesso assieme a Ivan Bakanov) sta cercando veramente la pace o fa di tutto per evitarla e continuare il conflitto?

«La questione è piuttosto complessa ed è in piedi da troppo tempo. Con i “se” e con i “ma” è difficile scrivere la storia. Oggettivamente, penso che sia un esercizio umano per tutti noi chiedersi, con dei protagonisti diversi in campo, se ci sarebbe stata un’evoluzione diversa delle cose. Il problema è che il conflitto, ora, pare sia entrato in una fase di stanchezza generale, dove le parti in causa vorrebbero concludere le operazioni. Mi rendo conto d’essere impopolare, ma serve anche la disponibilità ad accettare una pace che non sia la miglior pace possibile o una pace ingiusta. Poi, se guardiamo indietro nel passato, mi vengono in mente, purtroppo, tanti esempi di trattati di pace che sono stati in grado di soddisfare tutte la parti in causa. Comunque, è vero che, ogni giorno in più di guerra, significa un giorno in più di sofferenza e di morti per cui, ripeto, va fatta un’analisi più laica e distaccata possibile. Ritengo che, effettivamente, sia complicato pensare che la pace perfetta possa arrivare».

D – L’Unione europea può essere un ostacolo od un qualcosa di positivo in questi tentativi di pace presunta o futuribile?

«È una domanda interessante che ci porta a considerare quanto scatenatosi negli ultimi anni, il conflitto in Ucraina e quello in Medio Oriente. Ho assistito a due reazioni molto diverse da parte dell’Unione europea. Sul tema Ucraina c’è stata, almeno nella fase iniziale, una stessa identità di vedute e di intenti culminata in ormai 17 pacchetti di sanzioni che, però, non hanno consentito la conclusione della belligeranza. Questa non è un’opinione, ma un dato di fatto. Dall’altro lato ho visto, per quanto riguarda il Medio Oriente, l’inserirsi di posizioni ideologiche che, invece, hanno spaccato in maniera significativa l’Europa. Resta da capire se, effettivamente, la nuova amministrazione americana riuscirà a compiere la promessa fatta in campagna elettorale. Io non reputo che pochi mesi d’insediamento siano sufficienti per far chiudere uno o più scontri bellici ma, ormai, se c’è reale potenzialità in tal senso è il tempo di vederne i risultati».

D – Accennando agli Stati Uniti, vengono subito in mente i dazi di Trump. Fulmine a ciel sereno? Tutti sapevano che erano presenti nel programma elettorale del successore di Biden. Perché tanto bailamme di reazioni a livelli nazionale ed internazionale?

«Io mi stupisco di chi si stupisce. Nel senso che non c’è nessuna sorpresa per quanto riguarda il decisionismo americano. Mi ricordo che, relativamente al mercato dei beni, gli Stati Uniti hanno uno squilibrio nella bilancia commerciale di 160 miliardi con l’Unione europea. Per cui, se m’è consentita la battuta che lo è fino ad un certo punto, se a Bruxelles c’è una classe dirigente che fa gli interessi dell’Europa, all’estero, nelle altre capitali, chi viene eletto cerca di fare gli interessi dei propri elettori. Per cui, da questo punto di vista, sorpresa non è stata. Rammento anche che gli Stati Uniti hanno già sperimentato quattro anni ‘amministrazione Trump e non è successo il finimondo, né a Washington e nemmeno nel resto del mondo. Quindi, mi sembra che questi primi mesi siano stati caratterizzati da “al lupo, al lupo” senza che, al momento, grandi movimenti di borsa abbiano agitato l’economia con l’arrivo delle cavallette in Europa».

«Fondamentalmente, penso che l’amministrazione Trump potrà essere giudicata sul medio-lungo termine. Non va dimenticato che, aldilà delle istanze dei produttori statunitensi che rappresentano una categoria interessata all’introduzione dei dazi, Trump è stato votato contestualmente anche dagli importatori che hanno tutto da perdere con i dazi. Per cui sono scettico che l’approccio zero a zero prospettato dalla premier Meloni vada a buon fine. A mio modo di vedere, su alcuni settori piomberanno dei dazi, però non credo che il risultato finale sia in grado di pregiudicare il mercato dei nostri esportatori. Ci saranno, verosimilmente, dei settori più penalizzati ma, dal mio punto di vista, ipotizzo che tutto questo allarmismo sia gonfiato. Perché non serve che sia io a spiegare come funzionano le speculazioni in borsa».

 

Claudio Beccalossi (sin.) e Paolo Borchia

 


Servizio e foto di

Claudio Beccalossi

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