De rebus quae geruntur «delle cose che accadono».
Le Olimpiadi di Parigi a dire il vero non sono iniziate sotto i migliori auspici né si sono chiuse senza polemiche: atleti sfilanti su battelli fluviali a mo´ di ammutinati del Bounty; coreografie di dubbio gusto (sul detto «scherza coi fanti e lascia stare i santi»… né l’ombra di quel sentimento di profondo e quasi timoroso rispetto verso il sacro); cibo somministrato al Villaggio Olimpico da dimenticare; acque della Senna ben altro che Evian, Perrier e Vichy; negli arbitraggi errori a gogò; poi tanti dubbi e polemiche sulla disforia di genere e non finisce qui. Avviene quindi che, tirando le somme, riscontriamo più difetti che pregi!
Intersesso, ma cos’è?
È uomo o donna? È maschio o femmina? È nessuno dei due: il termine vuol dire neutro, calco del greco οὐδέτερον (udéteron), ‘né l’uno né l’altro’. Beh, il mondo cambia (poveri noi!) e dobbiamo stare al passo con la fantasiosa evoluzione semantica, che l’esasperato orientamento ideologico e culturale di estremo rispetto verso tutti ci impone.
Tuttavia il termine neutro, per quel che ci riguarda, ci può star bene, ad esempio, per un genere grammaticale, già presente in diverse lingue; per i colori; per i cavi elettrici; ma per una classificazione del genere homo, beh, no davvero. Eppure … chi lo avrebbe immaginato che il neutro, ovvero questo concetto di liquidità sessuale, ci sarebbe stato proposto come indice di evoluzione sociale e culturale? Ammazza, che evoluzione!
L’ambiguità sessuale o intersesso che dir si voglia altro non è, a detta di alcuni studiosi, che il frutto del delirium delle nuove generazioni, imbottite di becera ideologica, che intende omologare il pensiero, lo stile di vita e le identità, sessuale inclusa, in nome di una supposta libertà, fantastica ed estemporanea. Fin dove riusciamo ad intendere, partendo dai primati e fino ai nostri giorni, secondo quanto consegnatoci dalla storia e dalle nostre tradizioni, sappiamo che si nasce uomo (con cromosomi XY) o donna (con cromosomi XX). Per contro, il «pensiero unico», che ci viene imposto come fosse un dogma, persegue lo scopo di riprogrammarci e ammaestrarci sull’identità umana, in particolare sulla struttura della stessa; affettiva e sessuale, in primis.
Il gender ideologizzato.
A parte ogni altra considerazione e col massimo rispetto per le idee altrui, riteniamo che la teoria del «gender» sia un confronto essenzialmente ideologico e complesso allo stesso tempo: essa rappresenta invero un affronto ai consolidati fondamenti dell’antropologia; una messa in discussione dell’essenza e dei principi della natura umana, cui da sempre si fa riferimento. Un’ideologia, quella del gender che, se non consiste propriamente nel diniego della realtà alla maniera cartesiana (dubbio metodico), si propone di porre l’oggettività tra virgolette, alla maniera scettica, accantonando la nostra “identità naturale” e definendola non più come fattore determinante della personalità, ma come un dettaglio aggiuntivo e secondario.
Che sventola… (Fred Buscaglione n.d.r.)
Va precisato che questa premessa alla breve disamina che segue ha origine dallo scalpore verificatosi alle Olimpiadi, nello sport pugilistico femminile. Il caso dell’algerina Imane Khelif, medaglia d’oro nella categoria +66 kg della boxe femminile, e della Cinese Liu Yang, medaglia d’argento (stessa categoria), ha infatti scatenato proteste, allusioni e veleni sullo sport pugilistico e non solo, per il fatto che le predette erano state squalificate dall’IBA ai campionati mondiali dell’anno scorso, per non aver superato i necessari test, mentre alle Olimpiadi sono state ammesse a gareggiare nella loro specialità, senza alcun problema. Il casus belli è stato, in particolare, il test effettuato lo scorso anno sulla Khelif che ha rilevato la presenza del cromosoma XY, pur essendo donna.
Thomas Bach, presidente del CIO, ha affermato che “non c’è mai stato alcun dubbio” che le due pugili siano donne. Stando così le cose, Khelif e Liu Yang hanno gareggiato nella loro specialità, secondo il CIO, con tutte le carte in regola e non può dicerto qualificarsi riprovevole, se di riprovazione si può parlare, il fatto che Khelif abbia gonfiato di botte e messo KO, alla Bud Spencer, tutte le avversarie, inclusa la pur forte Liu Yang; questa è la boxe! La nostra Angela Carini, giustamente preoccupata per la propria incolumità, al 46º secondo e dopo il primo cazzotto, come accade negli spaghetti western, si è dichiarata vinta, evitando così un fracco di legnate.
Tutti contro tutti!
Riassumendo, un fatto è certo: quando si tratta di argomenti eticamente sensibili in cui entra strumentalmente la politica, la contesa tra le contrapposte ideologie impedisce che l’argomento sia trattato con logica e sensatezza nell’ambito di un dialogo costruttivo e risolutivo. Ecco allora che le divergenze ideologiche sull’argomento si trasformano in «bellum omnium contra omnes», ovvero in zuffa di tutti contro tutti; e l’insensatezza prevale sulla razionalità.
Approfondendo il concetto del questionato problema gender, ritornato ancora una volta alla ribalta in occasione delle ultime olimpiadi, va precisato che la causazione di ogni controversia dev’essere invero addebitata non agli atleti, ma agli organizzatori delle manifestazioni sportive e alle varie associazioni di categoria. A riprova di ciò basta dare un’occhiata agli stracci che volano tra il CIO (Comitato Olimpico Internazionale) e l’IBA (Associazione Pugilistica Internazionale con sede in Russia e estromessa dai Giochi), principalmente sull’uso dei test genetici.
Il politicamente corretto e l’inclusione ad ogni costo ci porta difatti alle controverse conclusioni formulate dal summenzionato Thomas Bach, secondo cui, in netto contrasto con Umar Kremlev, presidente dell’IBA, «se qualcuno ci presentasse un sistema scientificamente solido su come identificare uomini e donne, saremo i primi ad adottarlo».
In sostanza, Bach dice che non esiste un modo scientifico consolidato per affermare chi è una donna! Inoltre, secondo lui, sia il test del DNA con tampone salivare sia il controllo del testosterone sono invasivi, per cui sul genere dell’atleta fa fede il passaporto.Probabilmente Bach non ha mai letto la fiaba di Giulio Gianelli «Pipino nato vecchio e morto bambino». E vabbè, ogni testa è un tribunale, ma c’è anche una buona notizia: il nuovo presidente del CIO verrà eletto a marzo 2025 e per ciò… speriamo bene!
Gli asini litigano e i barili si rompono.
Ordunque, se è vero, com’è vero, che si è di fronte a una seria e preoccupante questione bioetica che va affrontata per tutti gli sport, esente da ogni dogma di parificazione di genere per poter assicurare l’imparzialità delle competizioni, è pur anco vero che la teoria del gender rappresenta in sostanza una lotta di potere e che gli atleti coinvolti, per un verso o per l’altro, rappresentano le vittime di detta guerra.
Non a caso la boxe è stata sospesa, al momento, come disciplina sportiva dai Giochi di Los Angeles del 2028 e, per scongiurare il verificarsi di tale evento, sarà quanto prima indetta una riunione delle federazioni nazionali affinché siano tutte rappresentate da un’unica entità, la World Boxing. Si cerca, insomma, di correre ai ripari perché tutto è business; tutto è interesse; tutto è strategia politica. L’etica e la parità di genere alla fine servono solo da paravento.
Dunque? Mah! Che dire… gli asini litigano e i barili si rompono! A questo punto per non pregiudicare la boxe femminile, magari escludendola dai Giochi olimpici e non solo, è necessario stipulare un «armistizio» tra le entità sportive e stabilire di esercitare indistintamente su tutti gli atleti i dovuti controlli consentiti dalla moderna tecnologia, ponendo così fine alle cervellotiche teorie che cancellano le differenze ma anche l’umanità!
E se il politically correct e l’ideologia woke ponessero dei paletti alla realizzazione dei test? Tornando indietro nel tempo, notiamo che gli antichi Greci avevano trovato la soluzione: facevano gareggiare gli atleti completamente nudi. Oddio, certo, noi non potremmo imitarli, ce ne guarderemmo bene: immaginate ai nostri giorni che putiferio? Disagio, pudicizia, sessualità, provocazione e… lasciamo perdere…
Allora? Suvvia, siamo seri! Corre l’Anno Domini 2024 e sia dunque la scienza (codice genetico e carica ormonale) e non il business e la gretta ideologia politica a dettare i parametri necessari a rivelare gli «arcani» del sesso anatomico. Se ciò avverrà, parafrasando la dedica di Claudia Cardinale «Tancredi, il ballo è finito» ad Alain Delon, amico e partner recentemente passato a miglior vita, potremo anche noi finalmente esclamare: «Signori dello sport, la buriana è finita!»
G.& G. ARNÒ
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