Separazione dei Poteri: Il Grande Gioco della Bilancia Democraticamente Sbilanciata

C’era una volta un certo Montesquieu, un signore dall’aria distinta che, con la sua opera “Lo Spirito delle Leggi”, ebbe la brillante idea di proporre la separazione dei poteri per evitare che uno solo di essi potesse dominare sugli altri. L’idea era semplice: il potere esecutivo governa, il legislativo fa le leggi e il giudiziario le applica. Facile, no? Apparentemente. Perché, in Italia, sembra che la favola abbia preso una piega inaspettata, trasformandosi in una sorta di tragicommedia giudiziaria.

Da qualche decennio, infatti, il nostro Paese sembra aver intrapreso un percorso singolare: il graduale avvio verso una repubblica giudiziaria. Una metamorfosi tanto raffinata quanto inquietante, che ha visto la magistratura assumere un ruolo sempre più centrale nella vita politica e sociale, fino a ergersi a vero e proprio arbitro del destino di governi e leader. La politica parla, la magistratura decide. E guai a chi osa mettere in dubbio il nuovo ordine costituito!

Di fronte a questa realtà, il Guardasigilli ha deciso di correre ai ripari, proponendo di ripristinare l’illecito disciplinare per i magistrati che ledono “credibilità e decoro” della magistratura. Un concetto che, nella sua semplicità, ha scatenato un putiferio. La sola ipotesi di normare qualche eccesso è stata accolta con “stupore e amarezza” da una parte della magistratura, come se l’intero ordinamento democratico fosse in pericolo. Figuriamoci parlare di separazione delle carriere o semplicemente accennarvi: fibrillazioni e proteste vibranti.

Ma la questione di fondo resta: la legge è uguale per tutti o no? O forse esiste un potere dello Stato che, lungi dall’essere un semplice ingranaggio dell’architettura democratica, è divenuto esso stesso il motore che guida e condiziona la vita politica del Paese? Quando ci si trova in una situazione simile, non resta che correre ai ripari, riscoprendo i limiti e i compiti che i poteri istituzionali devono rispettare.

La giustizia, come la sanità e l’istruzione, è un servizio pubblico. Ma a differenza degli altri servizi essenziali, essa è peculiarità esclusiva dello Stato, che deve garantirne indipendenza e imparzialità. E qui sta il punto: la magistratura, per essere veramente indipendente, non deve scavalcare il potere legislativo né essere sottomessa all’esecutivo. Deve applicare le leggi esistenti senza reinterpretarle in modo creativo o, peggio ancora, sovvertirne il senso.

Ancora più delicata è la distinzione tra magistratura giudicante e inquirente: i pubblici ministeri rappresentano l’accusa e, per loro essenza, non possono essere considerati imparziali. Devono seguire criteri oggettivi nella loro azione, evitando di cadere nella tentazione di usare il proprio potere come un’arma politica. Per questo, stabilire criteri di priorità nell’azione penale non è solo utile, ma necessario, e farlo in cooperazione con il potere esecutivo non significa minare l’indipendenza della magistratura, ma garantire un equilibrio funzionale.

E allora, torniamo alla domanda iniziale: chi controlla il controllore? Se la separazione dei poteri è davvero il pilastro della democrazia, allora è necessario che ognuno rimanga nel proprio recinto. Perché, alla fine, il vero pericolo non è tanto chi abbaia troppo, ma chi decide chi può abbaiare e chi no.

Di Redazione

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