La finestra su Roma

di Bruno Fulco

Il lupo perde il pelo ma non il vizio…

A Roma le finestre sono ancora spalancate vista la coda climatica della bella stagione che non ne vuole sapere di lasciare il passo all’autunno, e nemmeno il ripristino dell’ora solare ha contribuito a restituire le atmosfere autunnali tipiche di questo periodo.

Panettoni e pandori attendono già sugli scaffali dei supermercati, mentre mentalmente si fa fatica a desiderare un cartoccio di caldarroste così vestiti in bermuda e maniche corte. La zucca si, quella sta andando alla grande, non ancora in cucina ma bensì impiegata per la ricorrenza di Halloween, inutile importazione consumistica di cui la cultura italiana non sentiva assolutamente bisogno.

L’origine di Halloween sarebbe legata al Capodanno celtico che segnava la fine dell’estate e l’ingresso dell’inverno, e più precisamente alla festa di Samhain che decretava la settimana in cui, secondo le antiche tradizioni, avveniva l’incontro tra il mondo terreno e l’aldilà. Nessun orrore quindi proprio come avviene per il Día de los muertos, celebrazione dei defunti messicana celebrata con musica, bevande e cibi tradizionali insieme a rappresentazioni caricaturali della morte, che però hanno il significato di ritrovare il contatto con i propri cari.

 Una festa di origini precolombiane in cui le tradizioni locali si sono fuse con quelle portate dal cristianesimo. Un elemento culturale quindi, ben lontano dalla pagliacciata horror ridotta solamene ad un’enorme operazione commerciale. Ma la nostra società alle pagliacciate è ben abituata ed anzi sembra nutrirsi sempre più di queste.

Basta affacciarsi un attimo ogni giorno sulle vicende politiche del belpaese per rendersene conto. Alla soglia dei due anni di mandato, da sinistra non sanno più come fare per mettere in crisi un governo che pur con tutti i suoi errori, sta comunque dimostrando una certa stabilità costringendo la Schlein e compagni a trovate sempre più povere di idee concrete.

Tra le pecche maggiori del governo Meloni c’è forse quello a volte di affidarsi a personaggi inopportuni a rappresentarlo, ma questo non può certo giustificare il distorto concetto democratico della sinistra. Una morale non scritta di cui sono gli unici detentori, che li autorizza a demolire con ogni mezzo tutto ciò che è diverso da loro e dal loro pensiero.

Le armi sono sempre quelle, anche se alcune un po’ spuntate come il continuo richiamo al fascismo, che probabilmente sta iniziando a scavallare la soglia oltre il quale rende ridicolo chi lo sbandiera sempre come spauracchio ai quattro venti in ogni occasione.

Alcune di queste armi però sono sempre cariche e pronte all’uso, come una certa stampa ormai più vicina a quella scandalistica, che è sempre in caccia di pettegolezzi ravanando nella vita privata e familiare di ogni riferimento riconducibile a destra, come un cane randagio fa nella spazzatura.

Anche la magistratura è tra queste e si sa il Lupo perde il pelo ma non il vizio. Le modalità di come i togati utilizzino il loro potere sono sotto gli occhi di tutti, ma nessuno dei loro inciampi sembra essere sufficiente a ricondurre la loro funzione a quello che dovrebbe essere, e da cui oggi con ilo loro operato dimostrano di essere ben lontani.

In un altro paese il caso Palamara avrebbe avuto ben altre conseguenze, ma stampa e media “amici” si sono limitati a gestire la cosa per depotenziarne i potenziali effetti. Forti di questa copertura questi “funzionari pubblici investiti di poteri giudiziari”, o almeno una parte di essi, hanno proseguito imperterriti in quella che sembra essere prevalentemente la loro mission politica, con gli effetti che tutti hanno potuto vedere, ad esempio nella questione dei migranti in Albania.

Un modo per intralciare l’operato del governo, oppure per mettere pressione e frenare la riforma sulla separazione di carriera tra giudici e pm? Chi lo sa, certo però che le intercettazioni sulla Premier nelle chat dei magistrati non depongono certo a favore dell’onestà intellettuale di questi ultimi.

Estraniarsi da tutto questo con l’arte in una città come Roma è però sempre possibile. In questo periodo potrebbe aiutarci l’esposizione “Ligabue. I misteri di una mente” che offre una nuova lettura del lavoro di Antonio Ligabue, una rilettura in chiave psicologica per dare un quadro complessivo più aggiornato dell’artista, liberando la sua opera unica dalle tante etichette limitanti che nel tempo gli sono state appiccicate.

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