I fallimenti della COP16

La COP 16 si è conclusa con qualche accordo, ma nessun obbligo a rispettare i diritti e le terre dei popoli indigeni, e una prevedibile spinta verso una maggiore finanziarizzazione del mondo naturale.

Se molte importanti decisioni sono state posticipate a causa del fatto che alcuni delegati hanno dovuto lasciare la conferenza per prendere il loro volo, è stato creato un organo sussidiario per i popoli indigeni nell’ambito dell’articolo 8J della convenzione[1]. Secondo l’ONU, questo diventerà uno spazio permanente che permetterà a popoli indigeni e comunità locali di prendere parte alle decisioni che riguardano la biodiversità. Tuttavia, a dispetto dell’importanza di rafforzare il coinvolgimento dei popoli indigeni nelle decisioni che riguardano i loro territori (in cui si trova la maggior parte della biodiversità del mondo), resta da vedere se questo organismo migliorerà il rispetto dei diritti indigeni.

Non si è raggiunto invece un accordo sul meccanismo di finanziamento, né sul monitoraggio, del Global Biodiversity Framework (GBF) – soprattutto il Target 3 – che oggi è la più grande minaccia alle terre e alla vita dei popoli indigeni.

Nel complesso, lo status quo – il furto di terre indigene nel nome della conservazione e l’appropriazione dei fondi per la biodiversità da parte dell’industria della conservazione – resta incontrastato.

Ecco alcuni dei fallimenti della COP16

  • Implementazione: i delegati non sono riusciti ad accordarsi neppure sui colloqui per finanziare l’implementazione del Global Biodiversity Framework (GBF)
  • Finanza: i delegati del Sud del mondo sono arrabbiati perché non sono stati stanziati abbastanza soldi per l’implementazione del GBF.
  • Distribuzione: i delegati dal Sud del mondo sono comprensibilmente arrabbiati per il fatto che grandi istituzioni con sede nel nord mondiale (come il WWF) si stiano accaparrando i pochi fondi messi a disposizione attraverso il Global Biodiversity Framework Fund (GBFF), istituito nell’ambito del Fondo Mondiale per l’Ambiente nel 2022 (a questo proposito, leggi qui il briefing di Survival)
  • Ignorati i bisogni delle nazioni biodiverse: molti dei paesi che ospitano la maggior parte della biodiversità mondiale chiedevano la creazione di un nuovo fondo dedicato. Un gruppo di governi del nord del mondo ha offerto 160 milioni di dollari ma ha insistito che la somma venisse distribuita attraverso il GBFF, nonostante l’ampia opposizione a questo meccanismo.
  • Mancata protezione dei diritti umani: Non è ancora stato raggiunto un accordo su un piano per monitorare i progetti finanziati dal GBF. Le proposte sul tavolo non includono alcuna misura per garantire che i diritti dei popoli indigeni siano rispettati. La protezione dei diritti umani dei popoli indigeni è essenziale se si considerano gli sforzi per raddoppiare (quasi) la superficie di Aree Protette per la Conservazione a livello globale. Troppo spesso, in molte parti del mondo, le aree di conservazione sono militarizzare e i popoli indigeni vengono sfrattati dalla loro terra, in aperta violazione dei loro diritti umani.

“Questa COP16 mostra ancora una volta il potere di governi e industria della conservazione rispetto ai reali bisogni del nostro pianeta. L’urgenza di intervenire per proteggere la nostra biodiversità è reale, ma questi attori continuano a proporre false soluzioni e impedire un cambiamento reale” ha commentato Fiore Longo, responsabile della campagna di Survival International per decolonizzare la conservazione.

“Se vogliamo salvare il nostro pianeta non ci serve aumentare il ‘business as usual’, la finanziarizzazione o il potere delle multinazionali… ma l’esatto contrario!”

“In particolare, abbiamo bisogno di rispettare e riconoscere i diritti territoriali dei popoli indigeni.”

Crediti di biodiversità 

Com’era prevedibile, la COP16 si è svolta per i promotori della privatizzazione e della finanziarizzazione delle politiche di conservazione.

La potente coalizione di International Advisory Panel on Biodiversity Credits, Biodiversity Credits Alliance e World Economic Forum ha presentato dei “principi ad alta integrità” la cui alta integrità era solo nel nome. Includeva invece molti aspetti problematici. In pratica, i principi della coalizione consentono la compensazione e la vendita di crediti prima che siano registrati impatti positivi di alcun tipo.

Sebbene le organizzazioni della società civile abbiano espresso le loro forti preoccupazioni per questa iniziativa destinata all’insuccesso, non sono riusciti a fermarla.

Questo significa che ci sarà molto lavoro da fare per richiamare l’attenzione sulle conseguenze pericolose che questi schemi avranno per le terre e sulle vite indigene (a questo proposito, si legga il rapporto di Survival sui fallimenti del Fondo per la Biodiversità, in inglese).

[1] Questo articolo afferma che ogni firmatario deve “rispettare, preservare e mantenere conoscenze, innovazioni e pratiche di comunità indigene e locali che incarnano stili di vita tradizionali importanti per la conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica (…).”

Per ulteriori informazioni o interviste, puoi scrivere a [email protected]

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