DOCUMENTO ESCLUSIVO. La lettera di Erich Priebke

A proposito dell’attentato di via Rasella e del conseguente eccidio delle Fosse Ardeatine

DOCUMENTO ESCLUSIVO. La lettera di Erich Priebke in cui ammise d’essere stato a Verona un paio di volte

 di Claudio Beccalossi

La ricorrenza del massacro delle Fosse Ardeatine m’ha spinto a tirar fuori dal mio archivio, per un’ennesima consultazione, la lettera datata 22 settembre 1996 (con timbro postale del 30 settembre successivo) dell’ex SS-Hauptsturmführer (capitano) Erich Ernst Bruno Priebke (Hennigsdorf, 29 luglio 1913 – Roma, 11 ottobre 2013), in replica ad una mia missiva di pungolo su sue ipotizzate presenze a Verona nel corso degli avvenimenti successivi all’8 settembre 1943.

La sintetica ma significativa nota autografa provenne dalla sua detenzione a Roma, con timbri di firma “Visto per censura” e della “Casa Circondariale di Custodia Preventiva Regina Coeli”.

   Con disinvolta calligrafia ed una buona conoscenza della lingua italiana, che non badarono al peso degli anni, Priebke mi scrisse: «Egregio Sig. Claudio, ieri ho ricevuto la sua lettera del 6/9 – 96 e Vi ringrazio per i saluti ed auguri. Mi dispiace d’informarVi, che io non ho mai vissuto a Verona, dato che la mia destinazione era la città di Brescia, dove ho abitato come ufficiale di collegamento con il SM. della G.N.R. e como comandante d’un piccolo reparto della polizia di sicurezza tedesca. Sono arrivato a Brescia dopo la caduta di Roma, alla fine di giugno 1944 e ho lasciato la città nei ultimi giorni d’aprile 1945. Sono stato a Verona solamente due volte per vedere il nostro comandante il generale Harster per motivi administrative. Cordiali saluti! E. Priebke».

L’SS-Gruppenführer (generale di Divisione) Wilhelm Harster (Kelheim, 21 luglio 1904 – München,  25  dicembre 1991),  giusto  per diradare annebbiate memorie, fu designato dal RSHA (Reichssicherheitshauptamt, Ufficio centrale per la Sicurezza del Reich, con sede a Berlino), come Befehlshaber (comandante) der Sicherheitspolizei und des SD (BdS) con ubicazione a Verona, nel palazzo Ina in corso Vittorio Emanuele (oggi corso Porta Nuova) 11. Fece riferimento all’SS-Obergruppenführer (generale di Corpo d’Armata) Karl Wolff.

Quando lessi quelle righe d’affabile cortesia e di puntigliosa memoria (si deve sottolineare, anche sotto un punto di vista grafologico/psicanalitico, l’aggiunta dell’anno “1944” al mese “giugno”, forse mancante nella prima stesura, poi riletta, del testo originario) feci estremamente fatica ad accostarle alla nomea del mittente.

Cioè, a quell’Erich Priebke pesantemente accusato e poi condannato per aver contribuito alla pianificazione (preparando e controllando gli elenchi dei destinati alla morte) ed alla stessa esecuzione (di 2 persone) dell’eccidio delle Fosse (o Cave) Ardeatine (335 persone uccise il 24 marzo 1944 per rappresaglia nazista all’attentato di via Rasella del giorno prima (anniversario della fondazione dei Fasci italiani di combattimento). Azione operata dai partigiani comunisti dei Gap, Gruppi d’Azione Patriottica, in cui persero la vita (subito e nelle ore successive) 33 militari dell’11^ Compagnia del 3° Battaglione del Polizeiregiment “Bozen” di coscritti altoatesini, formato da 156 effettivi). Perirono nello scoppio anche Antonio Chiaretti, 48 anni (partigiano della formazione “Bandiera Rossa”) e Piero Zuccheretti, dodicenne.

Priebke, nella strage nazista “per rappresaglia”, ebbe un importante ruolo anche se la sua stessa biografia riconferma “la banalità del male” descritta nel 1963 da Hannah Arendt, nel suo saggio sul “processo Eichmann” in Israele del 1961. Entrò nel 1933 nel NSDAP (Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei, Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori) per poi passare, nel ’36, alla Gestapo (Geheime Staatspolizei, Polizia segreta di Stato) che, dal febbraio 1941, lo inviò come interprete, per la sua conoscenza della lingua italiana, all’Ambasciata tedesca a Roma.

Nel 1942 assunse il comando della sezione della Gestapo a Brescia e, l’anno dopo, rifece i bagagli per Roma venendo aggregato come SS-Hauptsturmführer agli ordini dell’SS-Obersturmbannführer (tenente colonnello) Herbert Kappler (Stuttgart, 23 settembre 1907 – Soltau, 9 febbraio 1978), comandante dell’SD (Sicherheitsdienst, Servizio di sicurezza all’interno delle SS) e della Gestapo nella capitale.

In seguito all’attentato di via Rasella e mitigando le immediate e feroci reazioni di Adolf Hitler e del generale Kurt Mälzer (comandante della Wehrmacht a Roma), Kappler organizzò ed eseguì l’ordine d’esecuzione di 320 persone (10 italiani per ogni militare ucciso) che, poi, salirono a 330 in conseguenza della morte del 33° del Polizeiregiment “Bozen”.

Gli uomini effettivamente ammazzati con dei colpi alla nuca furono, alla fine, 335, cinque in più rispetto a quanto voluto dallo Stato maggiore tedesco e per responsabilità attribuita proprio ad Erich Priebke, il quale “preposto alla direzione dell’esecuzione e al controllo delle vittime, nella frenetica foga di effettuare l’esecuzione con la massima rapidità, non s’accorse che esse erano estranee alle liste fatte in precedenza” (sentenza della Corte Suprema di Cassazione del 16.11.1998).

L’SS-Haptsturmführer, in quanto vice comandante del quartier generale della Gestapo a Roma, compilò personalmente l’elenco dei “meritevoli d’uccisione” e concorse alla fucilazione “cagionando direttamente la morte di due persone” (sentenza del Tribunale Militare di Roma del 01.08.1996).

Il 14 giugno 1944 Priebke assunse a Brescia compiti d’ufficiale di collegamento con lo Stato Maggiore della GNR (Guardia Nazionale Repubblicana), come confermatomi nella sua lettera, partecipando a perquisizioni e rastrellamenti contro le forze partigiane. In seguito alla resa dei tedeschi, venne fatto prigioniero il 13 maggio 1945, a Bolzano, al seguito dell’Obergruppenführer Karl Wolff e dapprima internato in un carcere ad Ancona, dove vennero trattenuti gli ufficiali nazisti indiziati di crimini di guerra, per poi venire trasferito al Campo 209 di Afragola (Napoli) ed al campo di prigionia di Rimini. Priebke, il 31 dicembre 1946, riuscì a fuggire con altri quattro tedeschi da quest’ultima carcerazione, sgusciando tra i festeggiamenti (e le relative bevute) di San Silvestro dei militari inglesi.

Tra il 2 gennaio 1947 e l’ottobre 1948 visse a Vipiteno, in Alto Adige-Südtirol, ricongiungendosi alla moglie Alicia Stoll ed ai figli Jorge (del 1940) ed Ingo (del 1942). Ma non si sentì tranquillo sentendosi il fiato sul collo. Contando sull’appoggio determinante del vicario generale della Diocesi di Bressanone, Alois Pompanin (che aiutò gerarchi nazisti in cerca di scampo in Sud America dotandoli di documenti d’identità falsi, grazie anche a suoi contatti nel comune di Termeno e nella Croce Rossa Internazionale), Priebke ottenne la denominazione fittizia di Otto Pape, un direttore d’hôtel lettone, apolide ed optante, riprendendo i propri dati in Argentina (mutando solo il nome, Erico e non Erich). Doveva però superare lo scoglio della conversione al cattolicesimo, conditio sine qua non per ottenere il sostegno del Vaticano. Il parroco di Vipiteno, Johann Corradini, provvide ad un ribattesimo il 13 settembre 1948, su disposizione formale del vescovo di Bressanone, Johannes Baptist Geisler.

Ad inviare a Priebke ed ai suoi familiari i falsi passaporti indispensabili per uscire dall’Italia fu il vescovo Alois Hudal, organizzatore della ratline (la via del ratto, cioè una via di fuga) che consentì la salvezza in Sud America di vari criminali di guerra quali Franz Stangl (comandante in periodi diversi dei campi di sterminio di Sobibór e Treblinka), Gustav Wagner (a sua volta comandante del campo di sterminio di Sobibór), Alois Brunner (organizzatore della deportazione da Francia e Slovacchia nei Lager nazisti) e, perfino, Adolf Eichmann (tra i principali organizzatori ed esecutori della “soluzione finale”).

La famiglia Priebke salì a bordo della nave “San Giorgio” a Genova e rimise piede a terra a Rio de la Plata, in Argentina, ritenendosi finalmente al sicuro… L’anno dopo si trasferì a San Carlos de Bariloche, a circa 1.750 chilometri a sud ovest di Buenos Aires, dimorando al numero 167 della Calle 24 de Septiembre. S’occupò dapprima d’un negozio di alimentari e poi fu direttore della scuola “Primo Capraro”.

Con un salto temporale di 45 anni, la vicenda umana dell’ex SS-Hauptstumführer (seppellita e riesumata) arriva all’aprile del 1994, quando la troupe del programma “Prime Time Live” dell’emittente statunitense ABC, capeggiata dal giornalista Sam Donaldson, contattò a San Carlos de Bariloche Juan Maler o Mahler (al secolo, Reinhard Kopps, talvolta citato nelle ricostruzioni storico-giornalistiche anche come Kops,  ex SS-Obersturmführer, tenente), compagno di fuga di Priebke dal campo di prigionia di Rimini, ottenendo da questi l’indirizzo del suo vecchio commilitone.

Ed il 6 maggio susseguente la troupe riuscì ad avere conferma diretta della sua vera identità dallo stesso Priebke, incontrato al termine del lavoro scolastico e dimostratosi disponibile a farsi intervistare. Risvegliatesi bruscamente dal loro lungo  letargo (o connivenza?), le autorità argentine, con pilatesca decisione, l’8 maggio seguente, non procedettero all’arresto dell’ex nazista in considerazione dell’età avanzata e delle condizioni di salute, preferendo per lui gli arresti domiciliari nella sua residenza. Gli organi competenti italiani, altrettanto sonnacchiosi al pari dei loro colleghi d’oltreoceano, inoltrarono richiesta d’estradizione ai giudici della Corte Suprema argentina che trovò esito favorevole il 2 novembre 1995. Il 21 novembre dello stesso anno, così, Priebke rimise piede a Roma (anche se, stando a rivelazioni in interviste, nel 1980 era già tornato in Italia assieme alla moglie Alicia) per venire rinchiuso nel carcere militare di Forte Boccea ed essere sottoposto ad interrogatori da parte del procuratore militare Antonino Intelisano.

Prese avvio, così, un’ingarbugliata e, per molti versi, contradditoria vertenza giudiziaria. Infatti, il 7 dicembre 1995, nell’udienza preliminare del procedimento, la Procura militare avanzò richiesta affinché Priebke fosse rinviato a giudizio per crimini di guerra e con l’imputazione di “concorso in violenza con omicidio continuato in danno di 335 cittadini italiani” in riferimento alla strage delle Fosse Ardeatine, ma la seduta si concluse con un rinvio. Il 28 marzo 1996 si stabilì la nuova udienza preliminare per il 3 aprile seguente e si ottenne il rinvio a giudizio a dispetto della proclamazione d’innocenza dell’imputato.

L’8 maggio 1996 cominciò il processo all’interno del Tribunale Militare di viale delle Milizie, a Roma ed il 1° agosto 1996 i giudici affermarono il “non doversi procedere, essendo il reato estinto per intervenuta prescrizione” ed ordinò la scarcerazione di Priebke, sollevando le proteste incandescenti soprattutto della comunità ebraica non solo romana. L’ordine di liberazione, comunque, non venne eseguito ed il giorno dopo fu ancora arrestato per dar corso ad una richiesta d’estradizione da parte della Germania, altra “bella addormentata” della vicenda improvvisamente ridestatasi.

Poi, il 15 ottobre 1996, la Corte di Cassazione annullò la sentenza del Tribunale Militare decidendo l’apertura d’un nuovo processo. Il 10 febbraio 1997 la stessa Corte affermò la competenza del Tribunale Militare di Roma a decidere su Priebke, con una diversa composizione data dalla ricusazione del presidente Agostino Quistelli (già presidente del Tribunale Militare di Verona che, nel 1988, giudicò l’ex-SS-Obersturmführer Alois Schintlholzer e lo condannò in contumacia all’ergastolo).

Nell’aula-bunker del carcere di Rebibbia, il 14 aprile 1997, s’avviò il secondo processo a Priebke che lo vide comparire accanto al “compare” Karl Hass (Kiel, 5 ottobre 1912 – Castel Gandolfo, Roma, 21 aprile 2004), ex SS-Sturmbannführer (maggiore), a sua volta implicato nell’eccidio delle Fosse Ardeatine (oltre che di altre gravi colpe quali l’arresto, prima della detenzione nel Lager di Buchenwald dove morì il 28 agosto 1944, della principessa Mafalda di Savoia, Roma, 19 novembre 1902). Dopo la conclusione della requisitoria da parte del pubblico ministero nella quale vennero avanzate le richieste di colpevolezza e della pena dell’ergastolo, la sentenza, emessa il 22 luglio 1997, decretò sì la colpevolezza ma con una condanna a 15 anni di reclusione, di cui 10 amnistiati e 3 anni e 4 mesi scontati con il suo arresto preventivo in Argentina.

La Procura Militare ed i difensori di Priebke ed Hass ricorsero in appello ed il relativo processo prese avvio il 27 gennaio 1998, stavolta nell’aula-bunker del Foro Italico, sempre a Roma. La Corte d’Appello Militare, il 7 marzo 1998, accogliendo l’istanza della Procura, condannò all’ergastolo sia Priebke che Hass.

Il punto definitivo alla spinosa vicenda giudiziaria piombò sul capo dell’ex SS-Hauptsturmführer il 16 novembre 1998, con la conferma della condanna all’ergastolo da parte della Prima sezione penale della Corte di Cassazione. Gli 85 anni sulle spalle consentirono a Priebke, tuttavia, d’usufruire della concessione degli arresti domiciliari, con ulteriore “alleggerimento” deciso il 12 giugno 2007, quando l’Ufficio di Sorveglianza Militare gli permise di “recarsi al lavoro” presso lo studio del suo avvocato Paolo Giachini, ma le scandalizzate proteste successive contribuirono a far revocare la concessione per “vizi di comunicazione”. In pratica, venne contestato a Priebke il non aver riferito a chi di dovere orari e modalità dei suoi spostamenti verso e dal cosiddetto “lavoro”. Ed il 23 novembre 2007 ancora la Prima sezione penale della Corte di Cassazione confermò la revoca del “permesso lavorativo”.

In anticipo rispetto alla diffusione della notizia nell’ottobre del 2010, Priebke riuscì ad ottenere per alcune ore alla settimana, nel 2009, la possibilità d’uscire dalla sua abitazione per circoscritte “indispensabili esigenze di vita”, sotto scorta delle forze dell’ordine per garantirne la sicurezza.

Erich Priebke fu trovato morto l’11 ottobre 2013, sul divano della sua residenza in via Cardinal Sanfelice, a Roma. Il sindaco, Ignazio Marino, d’accordo con questura e prefetto, emise  il divieto di celebrarne le esequie in spazi pubblici cittadini e così fece il Vicariato di Roma per le chiese della Città Eterna. Germania ed Argentina rifiutarono d’accoglierne il corpo. Passata la bufera dopo i tentati funerali (poi officiati in ore serali) presso l’Istituto “Pio X” dei Padri Lefebvriani ad Albano Laziale (Roma), con gazzarre e violenze scatenatesi (tra pro e contro), la sua salma, infine, venne tumulata in un ambito dichiarato segreto di Stato (pare un luogo di sepoltura d’un carcere in qualche isola, forse Pianosa o Capraia o ad Isili, in Sardegna), con una lapide anonima od un semplice codice identificativo. Mentre Karl Hass, altrettanto colpevole e condannato all’ergastolo come Priebke, dopo il suo decesso a 91 anni ospite, agli arresti domiciliari, della casa di riposo “Garden” di Castel Gandolfo, trovò tranquilla inumazione nel cimitero comunale.

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