La vicenda del generale libico Almasri, protagonista di una trama che oscilla tra l’assurdo e il paradossale, ha riportato al centro dell’attenzione il ruolo e il funzionamento della Corte Penale Internazionale dell’Aia. Un personaggio del calibro di Almasri, già noto per la sua “formidabile” esperienza nei conflitti e inseguito da un mandato di cattura per crimini contro l’umanità, si è concesso un viaggio in Europa con un itinerario degno di una guida turistica. Londra, Berlino, Bruxelles e, infine, l’Italia: un percorso che, per molti, suona come una sfida alle istituzioni internazionali.
Eppure, il mandato di cattura emesso nell’ottobre 2024 è stato notificato soltanto il 18 gennaio 2025, quando il generale si trovava in Italia. Com’è possibile? Il ritardo potrebbe essere imputato alla complessità procedurale o a qualche “baco” nella comunicazione tra le giurisdizioni europee. Ma è comunque sorprendente come il generale abbia attraversato più di una frontiera senza essere intercettato, quasi fosse un turista qualsiasi.
Un’istituzione tra ambizioni e difficoltà
Per comprendere meglio la questione, ho deciso di documentarmi sul funzionamento della Corte Penale Internazionale (CPI). E qui, lo ammetto, le sorprese non sono mancate.
La CPI conta 125 Paesi aderenti, un numero che appare impressionante, almeno sulla carta. Tuttavia, un’analisi più attenta rivela un quadro più complesso: adesioni condizionate, ratifiche in sospeso da anni, ritiri temporanei e ritorni sporadici. Non mancano nemmeno le contestazioni, soprattutto da parte di alcuni Paesi africani, che accusano la Corte di applicare una giustizia “selettiva”, concentrata quasi esclusivamente sulle vicende del loro continente.
L’organizzazione interna della Corte, pur animata da nobili intenti, appare titanica: tre organismi principali supportati da una cancelleria complessa, con una quindicina di magistrati che si alternano nei ruoli di accusa, istruzione e giudizio. Il mandato di ciascun magistrato è di tre anni, un tempo piuttosto breve per affrontare processi di tale portata.
Le nomine avvengono su indicazione dei Paesi aderenti e coinvolgono magistrati, avvocati e professori di diritto penale con “comprovata esperienza”. Tuttavia, la Corte non è tra le mete più ambite per molti giuristi, probabilmente a causa della complessità e della lentezza che spesso caratterizzano il suo operato.
L’assenza dei grandi attori globali
Un elemento che non si può ignorare è l’assenza di alcuni dei principali attori globali. La CPI non è riconosciuta da Stati Uniti, Cina, Russia, India, Turchia, Israele e molti altri Paesi che rappresentano oltre due terzi della popolazione mondiale e buona parte del potere geopolitico. Questo significa che circa cinque miliardi di persone sono “esenti” dal giudizio della Corte. Inoltre, accordi bilaterali tra Paesi aderenti e non aderenti possono ulteriormente complicare il quadro, permettendo a molti di sfuggire al giudicato della CPI.
Un lungo cammino verso la giustizia internazionale
La CPI, nata dopo una lunga gestazione tra il 1998 e il 2002 con il Trattato di Roma, è il risultato di un’ambizione straordinaria: creare un tribunale permanente per perseguire i crimini più gravi contro l’umanità. Tuttavia, il percorso è stato, e continua a essere, irto di ostacoli. La sua autonomia dalle Nazioni Unite, pur garantendole indipendenza, ne ha limitato la capacità di incidere in modo uniforme e globale.
Nonostante tutto, è importante riconoscere che la Corte rappresenta un esperimento senza precedenti nel tentativo di rendere la giustizia universale. Ma affinare i suoi meccanismi e superare le resistenze politiche internazionali resta una sfida immensa.
Postilla finale
Non sorprende, quindi, che il nostro Ministro degli Esteri abbia recentemente dichiarato che “La Corte Penale Internazionale dell’Aia non è un Oracolo infallibile”, scatenando reazioni contrastanti. Pur senza voler sminuire la sua funzione, la CPI deve dimostrare di poter rispondere in modo più efficace alle aspettative della comunità internazionale.
Quanto al generale Almasri, probabilmente ricorderà il suo viaggio europeo non solo per la partita di calcio in Italia, ma anche per il fatto di essere stato arrestato in pieno stile “zona Cesarini”. Un epilogo che, se non altro, restituisce una nota di concretezza a una vicenda che sembrava destinata a rimanere l’ennesima dimostrazione di un sistema giudiziario internazionale ancora in divenire.