“Il potere non si inginocchia davanti alla verità. La calpesta e poi finge di onorarla.” – Italo Nostromo
Da sabato 26 aprile, il Vaticano sarà teatro di una messa in scena globale tanto maestosa quanto vergognosa: 170 delegazioni ufficiali si riverseranno a Roma per rendere “omaggio” a Papa Francesco. Funerali di Stato, con tutte le liturgie del potere ben lucide e stirate: stretta di mano, lacrimuccia d’ordinanza, tweet commemorativo, dichiarazione imbalsamata. Tutto, tranne ciò che davvero sarebbe dovuto accadere: il pentimento, il silenzio, l’autocritica.
Perché no, non è un omaggio. È un sequestro postumo. È un’appropriazione indebita della figura di un uomo che, in vita, è stato ignorato, deriso, contraddetto da molti degli stessi che ora voleranno a Roma col volto mesto e il cuore altrove.
Papa Francesco ha vissuto nel fuoco del Vangelo. Ha predicato la pace mentre le cancellerie vendevano armi. Ha chiesto ponti mentre si costruivano muri. Ha invocato accoglienza mentre si approvavano leggi razziste. Ha difeso i poveri mentre si aumentavano le disuguaglianze. Ha parlato di fraternità mentre si alimentavano guerre, diffidenze, odio. Ha gridato contro il capitalismo cannibale, contro la distruzione dell’ambiente, contro il cinismo della finanza. Ha dato fastidio. È stato scomodo. E per questo, troppo spesso, è stato lasciato solo.
E ora? Ora voleranno tutti a Roma, con i loro jet di Stato, a sfilare davanti alla sua bara. Quanti di loro hanno mai letto davvero le sue encicliche, ascoltato i suoi discorsi, compreso il suo cuore? Quanti hanno applicato almeno una volta i principi evangelici che lui ha incarnato ogni giorno, senza ipocrisia?
Questa adunata planetaria ha il sapore amaro della farsa. È come se chi ha pugnalato il profeta tornasse sulla scena del crimine per posare fiori sulla sua tomba. È l’ennesima dimostrazione di come la morte trasformi tutto in spettacolo: Francesco, da vivo, era un problema; da morto, è una celebrazione. Addomesticabile. Innocuo. Finalmente gestibile.
Eppure due assenze, paradossalmente, brillano per coerenza: Vladimir Putin e Benjamin Netanyahu non parteciperanno. Due leader che Francesco ha criticato esplicitamente: il primo per l’aggressione all’Ucraina, il secondo per la carneficina in Palestina. Due assenze pesanti, certo, ma almeno non ipocrite. Non ci sarà la loro finta compostezza, il loro cordoglio da copertina. Perché almeno – sia pure nel cinismo – hanno mantenuto una coerenza con ciò che sono.
Gli altri, invece, verranno. E verranno in massa. Perché ai funerali non si nega la presenza, soprattutto quando si tratta di posare accanto a un’icona mondiale, di farsi vedere, di presidiare la scena. Verranno con parole commosse e gesti affettati. Ma nessuno di loro porterà la cosa che Francesco ha chiesto con più forza: il cambiamento.
La verità è che Papa Francesco muore due volte. La prima, nel corpo. La seconda, nell’anima del suo messaggio tradito. Perché sabato 26 aprile non si celebreranno solo dei funerali, ma un gigantesco rito di rimozione collettiva. Un’esibizione coreografica della classe dirigente globale che non ha mai voluto ascoltarlo davvero. Un funerale della coscienza, recitato con giacca scura e volto composto, mentre fuori dal colonnato restano i poveri, gli scartati, gli invisibili che lui ha amato più di ogni altra cosa.
Forse, il vero omaggio a Francesco sarebbe stato il silenzio. Oppure l’assenza. Ma l’ipocrisia non conosce decenza. E sabato, a Roma, ne avremo la prova definitiva.
Carlo Di Stanislao