“Damasco in saldo: chi si aggiudica l’ultima guerra del Medio Oriente?”

Bentornati al grande spettacolo della Siria, dove la geopolitica sembra una partita di Risiko giocata da bambini dispettosi che rovesciano il tavolo appena le cose si fanno serie. Dopo anni di stallo, esplosioni e promesse mai mantenute, eccoci di nuovo al capitolo “Il collasso di Assad – stavolta per davvero, giuriamo!”.

Nel nord-ovest, un déjà vu bellico di proporzioni epiche: Aleppo, la città simbolo di tutte le guerre per procura mai viste, è passata nelle mani dei ribelli. Sì, proprio quegli stessi ribelli che otto anni fa erano stati cacciati a colpi di missili e retorica da Assad con l’aiuto di Mosca e Teheran. Ora però i padrini di Damasco sono un po’ distratti: Putin è immerso nel pantano ucraino, mentre gli Ayatollah hanno la loro bella gatta da pelare con Israele.

E chi approfitta del caos? Erdogan, ovviamente, che tra una riforma costituzionale e l’altra si diverte a sostenere i ribelli islamisti come se stesse schierando pedine in una partita a scacchi. Ma attenzione: il Sultano moderno non si accontenta di qualche provincia qua e là. No, no! Il suo obiettivo è niente meno che Damasco. “Determinare insieme il futuro della Siria” dice lui. Leggi: “Se Damasco cade, io scelgo chi governa.”

Nel frattempo, le Forze Democratiche Siriane (SDF), sostenute dagli Stati Uniti, fanno il loro gioco a est. I curdi, armati e determinati, continuano la loro avanzata. Nel sud, intanto, Daraa – la culla della rivoluzione del 2011 – è di nuovo nelle mani degli insorti, chiudendo il cerchio di una storia che sa più di tragedia che di epopea.

E poi c’è Mosca, quella che teoricamente dovrebbe tenere la baracca in piedi. Il Cremlino, però, ha altri problemi. Con l’Ucraina che chiede la sua attenzione h24, Assad è diventato una di quelle piante d’appartamento che inizi a dimenticare di annaffiare. Ma non crediate che Putin stia mollando tutto. Oh no! Lui vuole salvare almeno le basi navali nel Mediterraneo, il suo biglietto per essere invitato al tavolo dei “grandi” quando si parla di potenza globale.

Il risultato? Un altro giro di tavoli negoziali. Il famoso formato Astana (Russia-Iran-Turchia) si prepara a discutere la sorte del povero Assad, ormai diventato una pedina sacrificabile. “Ci spiace, caro Bashar, ma tra salvare te e salvare le basi strategiche, non c’è gara.”

E gli altri attori della tragicommedia? Israele osserva la situazione dal Golan con la mano pronta al grilletto. La Giordania chiude i valichi di frontiera con l’entusiasmo di chi cerca di evitare un’invasione di problemi altrui. Intanto, l’ambasciata russa invita i suoi cittadini a lasciare la Siria, seguita a ruota da quella cinese, che dimostra come la solidarietà tra autocrati funzioni solo finché non ci si gioca la pelle.

E la popolazione siriana? È lì, come sempre, tra macerie e sogni infranti, a guardare i potenti del mondo giocare con il suo futuro. Perché in Siria, ogni nuovo inizio sembra sempre più una fine, e ogni speranza di pace è soffocata sotto un’altra ondata di conflitti, interessi e alleanze che cambiano più velocemente di un feed su TikTok.

Che dire, restate sintonizzati: la Siria promette di essere il reality show che nessuno vuole vedere, ma che tutti continuano a produrre.

Redazione

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